Affido minori: differenza tra ascolto diretto e audizione di un consulente

Riforma e Giurisprudenza
La riforma dell’affidamento dei figli prevista con il Disegno di legge Pillon – incentrata tra le varie novità sulla doppia residenza dei minori e un potenziamento del sistema di ascolto – sta incontrando molti ostacoli non solo dal punto di vista parlamentare e dell’opinione pubblica, ma nelle aule dei Tribunali con sentenze che anticipano o si pongono in contrasto con quelli che saranno gli effetti.

Come noto, nei procedimenti relativi all’affidamento, il legislatore e di conseguenza la Giurisprudenza hanno fissato e perseguito l’interesse dei figli quale obiettivo prioritario, anteponendolo rispetto a qualunque altra considerazione.
Principio supremo di tutela sul quale risiedono gli obblighi e le responsabilità degli ex coniugi come previsto dal codice lì dove afferma che “il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”.

La questione della doppia residenza si impone quale tema scottante e delicato soprattutto quando i figli minori sono almeno 2 e, ad esempio, hanno rapporti non lineari e simmetrici con i genitori. Accanto all’interesse prioritario del minore, vige anche la tutela del diritto fondamentale di sorellanza e fratellanza: ovvero, in caso di separazione dei genitori, fratelli e sorelle devono essere collocati presso il medesimo genitore, salvo che emergano controindicazioni espresse.

I figli non vanno divisi
Questo aspetto specifico è stato espresso in una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 12957/2018, che ha esaminato il caso di una separazione fra coniugi in cui una delle figlie minori è stata affidata ai servizi sociali con residenza prevalente presso il padre.
La Suprema Corte ha trattato il ricorso della madre che, lamentando la mancata audizione della minore, chiedeva che fosse presa in considerazione la volontà di quest’ultima di andare a vivere con lei e la sorella.
L’aspetto interessante della questione, che si ricollega appunto alle vicissitudini presenti e future del Ddl Pillon è la decisione della Cassazione di rinviare il caso alla Corte d’Appello di Roma affinché la stessa possa disporre “una nuova verifica su quale sia la residenza del minore, presso il padre o la madre, maggiormente corrispondente al suo interesse. Verifica che, partendo dall’ascolto del minore, prenda in esame il contesto dei due nuclei familiari, l’idoneità genitoriale e la esigenza primaria della conservazione del legame e della condivisione di vita con la sorella”.
Alla base di questa decisione rinveniamo l’illustrazione delle differenze che corrono tra l’ascolto diretto del minore da parte del Giudice e l’audizione differita, che sia svolta da un consulente o dal personale dei servizi sociali.

In particolare, la Corte ha chiarito che “l’ascolto è una relazione tendenzialmente diretta fra il giudice e il minore che dà spazio, all’interno del processo, alla partecipazione attiva del minore al procedimento che lo riguarda. La consulenza, se pure si avvale preferibilmente di un ascolto diretto da parte di uno specialista, è un’indagine che prende in considerazione una serie di fattori quali in primo luogo la personalità, la capacità di accudimento e di educazione dei genitori, la relazione in essere con il figlio”.

Ciò significa che il Giudice deve motivare le ragioni per cui ritiene la minore infra-dodicenne “incapace di discernimento”, se decide di non disporre l’ascolto, così come deve motivare perché ritiene l’ascolto effettuato nel corso delle indagini idoneo a sostituire un ascolto diretto ovvero un ascolto demandato a un esperto. Più precisamente “il Giudice non è tenuto a recepire, nei suoi provvedimenti, le dichiarazioni di volontà che emergono dall’ascolto del minore così come non è tenuto a recepire le conclusioni dell’indagine peritale. Tuttavia, qualora il Giudice intende disattendere tali dichiarazioni e tali conclusioni ha l’obbligo di motivare la sua decisione con particolare rigore e pertinenza”.

È un caso limite giacché l’età del minore si approssima a quella dei 12 anni, oltre la quale subentra l’obbligo legale dell’ascolto. Tuttavia, è emersa “la chiara volontà di convivere con la madre e con la sorella con la quale ha un rapporto affettivo importante e di reciproco sostegno. Volontà apprezzata dal consulente che ha ritenuto il legame con la sorella il maggior riferimento affettivo e stabilizzante…”.

Ecco riemergere nella sentenza quel diritto di sorellanza e fratellanza, ovvero “la necessità di preservare nelle separazioni la conservazione del rapporto tra fratelli e sorelle e di non adottare provvedimenti di affidamento che comportino la loro separazione se non per ragioni ineludibili e, comunque, sulla base di una motivazione rigorosa che evidenzi il contrario interesse del minore alla convivenza”.

Morale: il complesso delle situazioni che si aprono con una decisione di separazione e divorzio hanno tante e tali sfumature che i paletti previsti dalla riforma Pillon sulla bigenitorialità, se confermati, sono quantomeno a rischio di una valanga di ricorsi.

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